Intervista esclusiva a Nadia & The Rabbits

Ecco cosa ci ha raccontato Nadia & The Rabbits, che abbiamo incontrato ad Asti per la tappa del tour 'Noblesse Oblique'.

Nadia Von Jacobi è un volto nuovo della musica indipendente nostrana. “Scoperta” dalla Mescal, etichetta che ha come missione principe quella di scoprire e lanciare nuovi talenti, è da qualche settimana in negozio con il disco ‘Noblesse Oblique’ e con il tour che sta toccando un po’ tutta l’Italia. Di origine tedesca, Nadia è italiana di adozione. Quando si esibisce dal vivo si circonda di “conigli mannari” e proprio questi esseri fiabeschi le hanno regalato il suo nome d’arte: Nadia & The Rabbits. L’abbiamo incontrata ad Asti, poco prima del suo concerto al Diavolo Rosso e questa è l’intervista che ci ha rilasciato.

Nadia, sei un personaggio nuovo per la musica italiana. Quali sono le tue origini e le tue influenze?

«Le mie influenze sono tante e molto differenti tra di loro. Si va dalla musica classica ed in particolare Tchaikovsky, ai Cure, ai Depeche Mode. Ma anche alla bossanova di Tom Jobim e al folk sudamericano. Diciamo che sono un mix musicale».

Sei giovanissima, eppure è ormai da molto tempo che sei nel mondo della musica. Come ti sei avvicinata?

«Ho iniziato a suonare la chitarra da autodidatta, poi ho preso lezioni. Il mio desiderio era quello di riuscire ad accompagnarmi mentre cantavo. Il mio amore per la musica è scoppiato intorno ai 14 anni, prima facevo danza classica, che è un’altra arte che mi ha legato moltissimo alle sette note».

Ti definisci cittadina del mondo, ma ultimamente pare tu abbia trovato casa in Italia…

«Io vivo in Italia da 14 anni, ma non credo mai di essere arrivata e quindi davvero non so se questa sarà la mia ultima tappa e quanto rimarrò qui».

Il nome del tuo gruppo appare piuttosto particolare. Come mai questa scelta?

«La scelta deriva da un doppio motivo. La prima è perché ho una certa tendenza per le fiabe e per il genere noir. I rabbits in questo senso sono creature perfette, perché sono mezzi conigli e mezzi uomini. Il secondo motivo è che il nome è nato da sé per una serie di scherzi che si sono stati al momento di realizzare il primo disco e alla fine dallo scherzo si è passati ad un nome serio»

Per gli amanti della musica non sfugge la straordinaria somiglianza tra il nome del tuo gruppo: Nadia & the rabbits e quello di dell’artista scozzese Florence & The Machine: hai preso spunto da lei per regalarti la denominazione?

«Non sono sicura di chi abbia scelto il nome, ma di sicuro non ho avuto alcun genere di influenza».

Parliamo del tuo album che oltre a proporre un poutpourri di generi, è un vero e proprio inno alla multiculturalità, con molte lingue utilizzate. A cosa si deve questa scelta?

«La scelta è dettata da questioni tecniche, o più banalmente dalla metrica. Il ritmo di ogni brano può influenzare la lingua, sulla base della lunghezza delle parole o di un dato concetto da esprimere. Ogni idioma ha un ritmo intrinseco e si adatta meglio ad un brano. Dallo studio della fonetica e della metrica arriva la scelta della lingua da utilizzare».

Qual è la lingua più difficile da utilizzare?

«Sicuramente l’italiano, perché ha tendenzialmente parole molto lunghe. Ma anche il tedesco dà molti grattacapi. Certamente l’inglese è quello che si adatta meglio alla musica, perché i concetti si possono esprimere con parole brevi. Incastrare parole brevi per creare il puzzle è molto più semplice».

Come nascono le tue canzoni?

«Non c’è una regola. A volte parto dalla musica e poi gli adatto i testi. Altre volte il pezzo matura all’interno della mia testa ed esce già bello e confezionato».

Il gruppo ti aiuta nella composizione?

«No scrivo e compongo sempre da sola. Loro ci possono mettere gli arrangiamenti, perché il sound è multicolore. Ma il brano è assolutamente un fatto intimo».

Tra i produttori del tuo ultimo disco c’è Lele Battista. Come l’hai conosciuto e perché hai scelto questa collaborazione?

«Ci siamo conosciuti nell’ambito della Mescal. Il patron della casa discografica, Valerio Soave ci ha fatto incontrare, avendo previsto possibili sinergie. Immediatamente ci siamo resi conto che il nostro gusto musicale era simile e immediatamente gli ho chiesto se volesse intraprendere questo viaggio con me».

Hai parlato della Mescal. Quanto ti sta dando in questo momento della tua carriera?

«Io ho portato alla Mescal un prodotto abbastanza finito. Loro mi stanno aiutando molto sulla promozione. Questo è un mestiere che io non so fare e dovrei improvvisare».

Come sei accolta dal pubblico nei tuo nuovo tour?

«Direi molto bene. Mi sto divertendo ed è un’esperienza decisamente appagante. Io arrivo da un anno intenso, che mi ha portato su e giù per l’America e quindi sul palco sono sufficientemente sciolta. C’è comunque molta emozione, perché i Rabbits sono una formazione completamente nuova. Anzi per essere precisi sono formazioni particolarmente nuove, visto che in ogni data del tour cambiano. I Rabbits sono un branco innumerevole e i componenti si avvicendano di continuo».

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