Il musicista di strada Soltanto presenta il nuovo album Skye

In occasione dell'uscita dell'album Skye, il musicista di strada Matteo Terzi, in arte Soltanto, racconta la sua vita artistica. Leggi l'intervista.

Chi viaggia, chi vive la bellezza dell’avventura e il coraggio delle proprie scelte ha sempre qualcosa da dire. Sotto molti punti di vista, è un insegnante di vita. Non è solo un viaggiatore attento ma Matteo Terzi è, in arte Soltanto, un musicista di strada: è colui che incontri tra le vie di Milano, e magari ti fermi ad ascoltare. Perché la sua è una forza magnetica, una potenza che arriva dal cuore e non solo dal talento.

Lo conosciamo in occasione del suo secondo progetto discografico, Skye. Inizio con una piccola condivisione personale perché anche io, come tanti passanti, sono stata catturata dalla sua voce sincera, a tratti pacifica. Abbiamo in comune due cose: un caro amico che ha girato con lui l’Europa e un’entusiasmante passione per i viaggi, è facile perdersi nei suoi racconti.

Partiamo dalla base, perché Soltanto?
La componente principale è il viaggio: nel 2010, quando ho scelto di intraprendere questa avventura, ero appassionato di letteratura di viaggio e mi ha colpito la storia di Christopher McCandless di “Into the Wild”. Mi chiamavo “Matte SuperTramp”, proprio in suo onore. In giro per l’Europa mi sono accorto che quella casa che avevo lasciato, mi mancava: nel viaggio dalle Canarie a Milano, non volevo essere più un “super vagabondo” ma Soltanto me stesso.

E il termine “Busker”?
Dal circense al musicista, il busker è un’artista di strada, a tutto tondo.

Tutta La Vita Davanti è la prima traccia del disco, nella quale metti a fuoco una decisione coraggiosa come quella di lasciare tutto e diventare un musicista di strada. Raccontaci come si è evoluto questo testo.
È la canzone alla quale sono più legato, per diversi motivi: è stata la prima che ho scritto e ha avuto una lunga gestazione. Dopo aver ascoltato il primo album Le Chiavi Di Casa, mi sono accorto che in realtà non avevo detto tutto sui miei viaggi. Ho preso in mano la chitarra e ho scritto la prima parte della canzone, è stato liberatorio. Il primo abbandono di Milano è stato un momento vissuto di pancia, non avevo risposte da dare a chi mi chiedeva il perché.

Nemmeno alla tua famiglia, immagino.
Non riuscivano a capire della mia scelta, e di conseguenza non gli davo gli elementi ben precisi per capire; inoltre, non sapevo nemmeno quanto sarei rimasto fuori.

In sei mesi hai girato l’Europa, solamente tu e la chitarra.
Sono partito senza soldi, ho viaggiato in autostop e in treno. Volevo vivere di quello che mi capitava in viaggio, trovavo ospitalità tramite una community online (simile ad Airbnb) che offre un posto letto sul divano. In un viaggio, da Lione e Montpellier, mi sono fermato in una zona naturale e ho vissuto una settimana in tenda immerso nel bosco: avevo il fornelletto da campeggio e le pastiglie per purificare l’acqua del fiume, proprio come Christopher.

E come organizzavi i turni per suonare?
Non avevo musicisti di riferimento che mi dicevano le postazioni dove sistemarmi, non sapevo niente e mi imbarazzavo un po’. Ho cominciato andando nelle periferie: la prima volta che ho suonato è stato in un tunnel pedonale, passavano pochissime persone ma era il modo giusto per cominciare. Ho guadagnato terreno e successivamente, sono arrivato in centro.

Sei ritornato nei luoghi europei dove sei stato in viaggio?
Si, a Lione ho una seconda famiglia e ci sono ritornato recentemente. Volevo vivere il viaggio come una vera esperienza, e poi ho conosciuto anche persone gentili con cui tutt’ora sono in contatto. Il fatto di capire che non solo avevo realizzato un sogno, quello di suonare in strada, ma capire che era effettivamente il mio posto nel mondo è stata una bella scoperta non pianificata.

Nel 2011 sei tornato e hai iniziato la tua attività per le strade di Milano.
Esatto, ho iniziato a suonare le cover in cui sentivo di raccontare qualcosa di me. Potevano essere la colonna sonora di emozioni che avevo vissuto, non è mai stata una scelta pianificata. Ho portato anche le canzoni che avevo scritto io. Dopo l’Europa, a Milano è stato come ricominciare da zero.

Perché?
Mi andavo ad esporre molto, passavano compagni di liceo o gente che conoscevo. Però, mi ricordo una sorpresa piacevole ovvero i complimenti di una mia vecchia professoressa che è passata per caso davanti alla mia postazione. Ma c’è una domanda che mi ha fatto: “Quindi che lavoro fai?”. E molti colleghi musicisti la pensavano così.

Ora però, ce ne sono tanti.
Io sono stato uno dei primi, all’inizio era malvista ma non dalla gente ma dai colleghi. Molti che criticavano la mia scelta, ora suonano lì anche loro. È diventata un’alternativa possibile, e normale. Se fosse stato facile suonare per strada, non lo avrei fatto: è un sogno che mi sono andato a prendere. Ho anche fondato un’associazione di artisti di strada ed è diventata un’eccellenza nel mondo.

Il talent lo hai mai preso in considerazione?
Non è l’unica strada, è un format in cui si costruisce un racconto televisivo e a me non interessava. Scrivere musica e andare a proporla direttamente alle persone, questo è quello che voglio fare.

Ma veniamo al presente, il suo nome è Skye. Un nome che racchiude quel luogo magico che ognuno conserva nel proprio cuore, il rifugio della nostra anima.
Mi sono preso tutto il tempo di cui avevo bisogno, è un progetto che mi rappresenta. Oggi siamo abituatati ad un mercato discografico “usa e getta”, nascono in fretta e poi non è scontato che vengano lavori buoni. Molte canzoni sono nate in viaggio: “Fermi il tempo” e “Nel sogno che mi dai” sono nate sull’isola di Skye, un paesaggio della Scozia da togliere il fiato.

Che c’è nel tuo imminente futuro?
Sogno di portarlo in giro per le strade d’Italia e d’Europa, sono un musicista di strada. L’occasione che mi porta in teatro è quella dell’8 aprile: suonerò con la band per presentare gli arrangiamenti, i colori e le atmosfere di questo album.

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