Intervista a DDG Project: ‘Vi accompagno nel mio Chaos!’

Davide De Gregorio, in arte DDG Project, presenta a Cube Magazine il suo nuovo progetto artistico, 'Chaos', l'unione di arti visive e musica, ecco come è nato.

 

Davide De Gregorio non è certo nuovo all’ambiente della musica, ma  – dopo diverse collaborazioni – ha finalmente deciso di dedicarsi ad un suo progetto personale, sotto lo pseudonimo di DDG Project, che ha chiamato ‘Chaos’ e che è uscito lo scorso 22 Maggio, raccogliendo molti riscontri positivi. Il progetto è stato anticipato dal videoclip omonimo

Ma ora, lasciamo la parola a Davide.
Ciao Davide, innanzitutto ti ringraziamo per la disponibilità. Abbiamo avuto occasione di ascoltare il tuo ambizioso progetto artistico – ‘Chaos’ – che unisce le arti visive, la multiculturalità e (soprattutto) la musica.
1. Da dove arriva l’idea di unire tutto questo in un unico progetto?
DDG: Grazie a voi. L’idea della coesistenza di più ambiti artistici in un unico progetto deriva dalla convinzione che questa mescolanza rafforzi ed amplifichi la forza dei contenuti che in esso vengono espressi. Il progetto musicale in se stesso nasce dal semplice fatto di voler raccontare con la musica le storie vissute , le esperienze , i viaggi, gli incontri fatti, le idee musicali che ho sviluppato, con la mia personale visione delle cose, tra passato, presente e futuro. Racchiudere all’interno di questo progetto gran parte di quello che ho visto, imparato, amato, cercato e trovato, mi sembrava il modo piu’ credibile di propormi al pubblico.

2. Le tue canzoni sono principalmente in inglese, al cui interno troviamo parole più “internazionali”, se così possiamo definirle. La scelta dell’utilizzo di un linguaggio più globale, arriva dall’esigenza di arrivare a più persone?
DDG: Il mio e’ un vocabolario che per anni si è arricchito costantemente e che mi porta a scrivere con naturalezza usando parole e vocaboli che hanno allargato i miei orizzonti linguistici. Partendo dall’italiano, dal dialetto napoletano, sono arrivato all’inglese, ho incontrato gente di lingua spagnola, francese e pur non imparando necessariamente a parlare queste lingue, ne ho assorbito alcune espressioni. Ho semplicemente deciso di usarle per non chiudermi in uno schema predefinito. L’aspetto piu’ stimolante e’ che tutto cio’ e’ in evoluzione continua e piu’ posti visiti, piu’ persone incontri, piu’ musica fai, piu’ parole impari, maggiore è la possibilità di dare altre sonorita’ al tuo linguaggio.

3. La tua carriera nel campo musicale dura da diversi anni oramai, ma che cosa ti ha spinto dopo tutto questo tempo a lavorare ad un progetto tutto tuo?
DDG: Lavorare ad una propria “opera” e’ un percorso meraviglioso e faticoso, ma di grande soddisfazione ed appagamento. Io amo seguire tutto il processo che c’e’ intorno ad ogni mia canzone, dalla idea di base, alla composizione, al testo. Tutto avviene in piena condivisione con il mio manager, Gianluca di Furia, che con il suo sensibile orecchio mi riporta un feedback più distaccato e mette sui binari piu’ corretti le mie elucubrazioni. Seguiamo e concordiamo tutte le fasi della realizzazione, dall’arrangiamento, al sound, alla scelta degli studi di registrazione, alle collaborazioni, fin dai primi demo, per finire al mix, al mastering, al design della copertina e alla performance live. Tutto questo e’ impegnativo e comporta una responsabilita’ verso se stessi e verso chi ascolta e poichè non sottovaluto mai i due aspetti, ritengo che se davvero si ritiene “necessario” tirare fuori un lavoro, con coraggio, incoscienza ed ottimismo, cio’ va assolutamente fatto.

4. Per la realizzazione di ‘Chaos’, hai lavorato con due professionisti del calibro di Cora Coleman e Josh Dunham, che tra l’altro hanno suonato con artisti di fama internazionale come Prince e Beyoncè. Come è nata questa collaborazione e come è stato lavorare con loro?
DDG: Li ho incontrati a Londra anni fa nel backstage del tour di Prince “21 nights”. Ci siamo rivisti il giorno dopo e ho fatto ascoltare loro alcuni miei demo. Il giorno successivo eravamo già in studio a registrare insieme le mie prime idee. La nostra amicizia e la nostra stima reciproca, negli anni, si sono consolidate, e abbiamo fatto tante altre session insieme. Dal vivo Cora e Josh mi hanno anche accompagnato al concerto dell’Earth Day al Circo Massimo di Roma in quella che io chiamo la “dimensione finale”: il “live”.

5. La copertina di questo ‘Chaos’ rappresenta una sezione del ‘World Wall for Peace’ ad Atlanta. Una scelta non casuale ovviamente, ma perché proprio questa?
DDG: Mi trovavo ad Atlanta e nel quartiere “little five points”, dopo aver parcheggiato l’auto in un piazzale, sono incappato in questo enorme mosaico di colori che occupava un muro di dimensioni incredibili. Questo “quadro”, fatto di mattonelle di ceramica dipinte, era meraviglioso e sprigionava una forza vitale poderosa. Dopo aver scattato alcune foto a questo muro, nei mesi successivi non riuscivo a distaccarmi da questa immagine. Sul muro c’era scritto “world wall for peace”. Ho fatto un po di ricerche ed ho scoperto che dietro c’era una storia stupenda, un progetto sulla pace creato da Carolyna Marks, che ha coinvolto ed incontrato gente come il reverendo Jesse Jackson, Woopi Goldberg e al quale hanno partecipato un collettivo di artisti famosi e gente comune che ha contribuito, ciascuno dipingendo una mattonella. Ci sono circa quarantamila mattonelle sparse per il mondo, dal Sudafrica al Giappone, agli Stati Uniti, ad Israele, all’Olanda. Il tutto mi sembrava un destino meravigliosamente “casuale”, perfettamente coordinato con la mia idea di fare musica senza confini, promuovendo l’idea dell’unione e respingendo il concetto di “divisione”. L’idea di pace come “verbo” da diffondere costantemente aveva una forza propulsiva efficacissima e stimolante ed a quel punto ho deciso di contattarli, visto che il mio progetto e’ impostato sulla condivisione, sulla apertura e proprio sulla visione pacifica che la musica ha nel suo messaggio centrale. Ho chiamato la fondazione per chiedere il permesso di utilizzare l’immagine di una parte del “Muro” e per portare un mio personale contributo alla divulgazione di questo messaggio. La responsabile attuale della fondazione, che continua a portare avanti questo progetto nonostante la scomparsa della Marks, mi ha risposto che avrebbe prima voluto sentire le mie canzoni. Ebbene, dopo l’ascolto e un commento lusinghiero “Davide , grazie per averci fatto entrare nel DDG world”, il permesso è stato accordato e ne sono contentissimo. Niente succede per caso? Forse e’ cosi’ davvero… Colgo l’occasione per segnalarvi il sito wwfp.org

6. Senza dubbio, la tua musica nasce da esperienze di vita personali, che vengono poi tradotte nel linguaggio musicale. Un linguaggio molto vario, per quanto riguarda il genere musicale che abbracci nelle tue canzoni. Come queste esperienze si trasformano in musica?
DDG: E’ semplice: unendo le mie passioni musicali, le mie influenze, le mie idee, le mie storie e traducendole in queste canzoni che compongono il primo disco completo by DDG. La mia musica e’ concepita a strati, in inglese “layers”. E’ elaborata nella sua concezione ma anela alla semplicità e alla intellegibilità. Non amo e non mi rappresenterebbero progetti avanguardistici di ricerca, lontani da un messaggio immediato e forte. Trovo che il mio modo di fare musica, per essere fedele alla mia personalità, debba mirare alla fruibilità pur conservando una serie di livelli e strati che “scavando” vengono fuori e fanno percepire che l’assemblaggio delle idee e dei contenuti e’ pensato e molto “lavorato”. Non voglio mai perdere l’istintualità e la parte spontanea della creazione filtrandola poi con l’esperienza e lasciando aperte le soluzioni man mano che prende forma il brano.

7. Tu stesso definisci il tuo genere musicale, un anti-genere. Ci spieghi meglio che cosa intendi?
DDG: “Anti-genere e’ un “escamotage” dialettico, una scorciatoia lessicale, che credo tuttavia renda bene l’idea di non voler essere classificati in generi precisi come “world” piuttosto che “pop” o “blues” o “reggae” e cosi’ via…. In inglese si usa dire, specialmente in campo artistico, “I don’t like to be pigeonholed” e si intende appunto il non amare gli stereotipi e le definizioni classiche. Mettermi in gioco continuamente, trovando “soluzioni” espressive sempre differenti, e’ uno degli aspetti del fare musica che mi intriga maggiormente.

8. La tua esperienza artistica e personale è segnata da molti viaggi in giro per il mondo. Quale ricordi con più emozione?
DDG: I viaggi sono esperienze uniche e ogni paese mi ha lasciato grandi emozioni. Una delle emozioni più forti che io ricordi è stata la visita al museo dedicato a Martin Luther King, ad Atlanta. Un turbine continuo di “agitazione” interiore, un insieme di sensazioni fortissime, un misto tra lacrime, gioia, rispetto, riflessioni sulla storia dei diritti civili, delle battaglie per l’affermazione dell’uguaglianza fra esseri umani, frustrazione , silenzi… Certi uomini hanno avuto un coraggio rarissimo e hanno, col sacrificio delle loro vite, cambiato davvero la nostra storia… ancora mi da’ i brividi menzionare questo episodio.

9. Quali sono gli artisti che hanno maggiormente influenzato la tua formazione artistica?
DDG: In modi differenti, tra amori, abbandoni, folgorazioni, storie veloci, passioni travolgenti, la lista e’ lunghissima e chiudero’ con gli inevitabili puntini sospensivi: David Byrne, REM, Fela Kuti, Bob Marley, Steve Wonder, Quincy Jones, RHCP, Sting, Peter Gabriel, Manu Chao, Damon Albarn, Battiato, De Andrè, Pino Daniele, Zucchero, Pink Floyd, Eric Clapton, Santana, Mozart, Bach, Miles Davis, Ben Harper, Seu George, David Bowie, Prince, Depeche Mode…
Peace one love – DDG

Un grazie particolare a Davide – DDG Project, con l’augurio che la sua musica di pace ed amore arrivi a più persone possibili, e a Tatiana di Parole&Dintorni per la disponibilità.

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