Intervista esclusiva ai Biffy Clyro, supporter a Torino dei Muse

Cube Magazine ha intervistato i Biffy Clyro prima del concerto a Torino come band di supporto dei Muse. Ecco cosa ci hanno raccontato.

Dalla Scozia con furore. Questo potrebbe essere la frase ad effetto per presentare i Biffy Clyro.

Due gemelli James e Ben Johnston e il front man, nonché autore dei testi, Simon Neil, hanno creato un terzetto tutto rock. La loro storia musicale viene da lontano. È il 1995 quando questi ragazzi, amici sin dall’infanzia iniziato a suonare negli Screwfish. L’esplosione arriva 10 anni più tardi, a con l’arrivo di ‘Puzzle‘, pubblicato dalla Floor Records, una ramificazione della Warner Bro. Poi è storia d’oggi: con ‘Only Revolution‘ arriva il successo quello vero, la crisi nel gestire tanta fama e l’ultimo doppio album ‘Opposites‘, che racconta in qualche modo il momento buio e la rinascita.

Abbiamo incontrato i Biffy a Torino, poco prima di salire sul palco dello Stadio Olimpico, di supporto ai grandissimi Muse. Proprio da qui partiamo con l’intervista.

Come sta andando il tour mondiale con i Muse e perché avete accettato questa proposta?
«Beh siamo grandi fan dei Muse e questo rende la cosa più semplice. In più abbiamo la possibilità di suonare davanti a un sacco di gente che magari non hai mai sentito parlare dei Biffy Clyro, esibendoci in posti dove non abbiamo mai suonato prima tipo Torino. Una grossa opportunità… quale occasione migliore. I Muse poi sono una band che dal vivo è spettacolare e a cui è difficile fare da spalla per il fatto che il loro spettacolo è così mastodontico. È una sfida per noi… Dobbiamo mettercela tutta».

Avevate paura di essere accolti male?
«Spetta a noi conquistare il pubblico. Ormai abbiamo fatto 6 album e credo che la gente abbia capito che genere di band siamo. Spesso il pubblico ti giudica per un video o per un album e si fanno una brutta idea. Ora non ci pensiamo più: alla fine ognuno la pensa come vuole, c’è chi crede che siamo grandi altri che facciamo schifo, per noi poco importa»

Parliamo di Opposite. Quali sono i segreti di questo album?
«Ok, innanzitutto è il miglior doppio album della storia del rock (risate ndr), e per favore aggiungete che sto scherzando. L’abbiamo registrato in California. Ogni band sente l’esigenza di fare un doppio album prima o poi, e per la prima volta ci siamo resi conto di avere abbastanza brani. In più il tour precedente è andato avanti per le lunghe e alla fine eravamo sfiniti. Siamo una band che va avanti da 15 anni e abbiamo 10 anni di concerti alle spalle, eravamo stanchissimi. Abbiamo quindi deciso di prenderci una pausa e cercare di ritrovare noi stessi. Ti dimentichi chi sei a volte dopo che passi tutto il tempo sui tour bus in giro per il mondo. La canzoni del nuovo album sono praticamente basate sul come ritrovare se stessi. Il primo disco è praticamente per riflettere e capire come hai fatto a ritrovarti in una situazione del genere e il secondo invece è per trovare la via d’uscita e essere più positivi.  Per questo si chiama Opposites».

Da qualche tempo insieme a voi si esibisce anche il bassista Garth Richardson, possiamo considerarlo ormai un membro della band?
«Più o meno si. Abbiamo costruito un rapporto fantastico con Garth nel tempo. Abbiamo imparato cose da lui e lui ha imparato cose da noi. Non so se lavoreremo ancora con lui però, prima deve perdere peso (risate). Ricordiamo, comunque che in questo album ha una maggiore orchestrazione ed è per questo che abbiamo due musicisti in più sul palco. E poi i Biffy Clyro sono 3, ma molti dei pezzi nuovi richiedono un aiuto».

I 24 brani che compongono Opposite, sono frutto di una selezione di 45 pezzi scritti da Simon, pensate che in futuro qualcuno degli esclusi sarà recuperato?
«A noi piace iniziare un lavoro da zero, un foglio bianco per intenderci. Spesso se scrivi un pezzo e lo lasci li per un po’ di tempo, quando lo riprendi può capitare che nel frattempo siano successe delle cose non lo rendono più attuale. Per questo non siamo fan dello scrivere un pezzo e lasciarlo per il prossimo album. Andiamo di getto, iniziamo, scriviamo e registriamo».

Voi siete una band assolutamente riconoscibile per lo stile, ma in questo lavoro avete proposto soluzioni “originali”, non avete paura di perdere la vostra identità?
«Ci piace sperimentare e forse una rock band non dovrebbe osare tanto o sperimentare troppo. I pezzo Spanish Radio è un esempio, un pezzo rock con una sfumatura mariachi. Al pensiero sembra un controsenso, ma a noi piace rischiare. Stesso discorso vale per le cornamuse, che  essendo scozzesi avremmo dovuto usare le cornamuse già in passato. Abbiiamo sempre ‘osato’, anche in passato, abbiamo fatto pezzi rock con sfumature dance e sfumature reggae. L’unica cosa che abbiamo provato e non ci siamo riusciti del tutto (nel senso che non suonava bene) è stato fare un pezzo rock con sfumature gospel».

Chi ha disegnato la copertina?
«La copertina è opera di Storm Thorgerson, che sfortunatamente è mancato un paio di mesi fa. Il significato è la bellezza che cresce in te, la bellezza che esce da te stesso e che viene dal dentro».

L’albero spoglio è uno stimolo a “rifiorire” in futuro?
«Questo è quello che speriamo, che ci sia una sorta di fioritura. Il fatto che l’albero è spoglio è una sorta di connessione col passato, di come eravamo. Se dovessimo riproporre il disegno, oggi probabilmente quell’albero sarebbe fiorito»

Tra le novità dell’ultimo lavoro c’è anche la vostra assenza nei video dei singoli…
«Non compariamo negli ultimi due video e la cosa è abbastanza inusuale. Forse perchè i pezzi rendono meglio con un video a livello più cinematografico. La fortuna è che eravamo in California e questo ha aiutato. Non credo che se i video fossero stati girati in Scozia , sarebbero stati così d’impatto, specialmente la scena dell’ incidente. Comunque col prossimo video pensiamo di tornare al vecchio format con noi che suoniamo».

Opposite è stato registrato nello stesso studio dove sono nati capolavori dei Fleetwood Mac, dei Rolling Stones e dei Pink Floyd, che emozione vi ha dato questa esperienza?
«La cosa bella per noi, piccola band scozzese, è che ci è venuta voglia di fare ancora di più e meglio. Molti gruppi avrebbero potuto sentire il peso della responsabilità, per noi invece è stato uno stimolo a fare un grande album e ce l’abbiamo messa. Anche se poi i risultati magari saranno al di sotto delle aspettative, per noi è una grande opportunità».

Nei negozi si trova una doppia versione del disco, come mai?
«Il motivo per cui abbiamo fatto due versioni dell’album è perchè in alcuni paesi i negozi e le case discografiche non tendono più a vendere album doppi. Quindi per quei paesi abbiamo fatto un album singolo, per evitare di essere tagliati fuori».

Ritorniamo a parlare del live. Dopo questa esperienza con i Muse, tornerete in tour da soli?
«Pensiamo di sì. Questa esperienza ci ha fatto capire come ci sia tantissima gente che ha voglia di sentirci. E’ passato del tempo da quando siamo venuti in Italia la prima volta ma torneremo in autunno per un paio di date. E ringraziamo il pubblico per la pazienza».

Dopo aver suonato di supporto sarete protagonisti in alcuni festival in Inghilterra…
«Si abbiamo in programma qualcosa di particolare per il Reading & Leeds festival. D’altronde saremo gli headliners e non ci possiamo limitare. Dobbiamo fare le cose in grande, ci saranno fuochi d’artificio e daremo il massimo di noi stessi. Il fatto di suonare dopo i Nine Inch Nails sarà dura… il nostro chitarrista Mike è un fan sfegatato dei ‘NIN’ e se la sta facendo sotto!! La nostra esibizione sarà più umana comunque… sappiamo che le esibizioni dei NIN pur essendo incredibili sono molto meccaniche e “fredde” a tratti».

Che differenza passa tra un festival inglese ed un altro come Coachella che vi ha visti protagonisti?
«Coachella è molto particolare. Innanzitutto non c’erano ubriachi. La cosa per noi è molto strana, visto ciò che accade quando suoniamo in Scozia. Poi non c’era il fango. Il paesaggio era fantastico ma allo stesso tempo faceva troppo caldo. Nel complesso però è un festival fantastico, una grandissima line up soprattutto… e poi è un posto dove avremmo sempre voluto suonare. La cosa diversa è che per gli Americani un festival come Coachella è più come una sorta di uscita della domenica… per gli europei un festival è un’ esperienza, tre giorni di delirio».

Concludiamo con la vostra evoluzione musicale: Dall’inizio della carriera siete passati dal “massimalismo” al minimalismo. Come mai questa evoluzione?
«Coi primi due dischi era il caso di esprimere al massimo noi stessi come band, mettere tutte le nostre idee sul piatto. Quando inizi è tutto concentrato sui riffs e sul fatto che deve suonare “cool”. Col tempo invece abbiamo imparato anche a scrivere meglio i nostri pezzi, dando più importanza ai testi e a quello che pensiamo. Le canzoni sono più robuste e noi siamo maturati molto come musicisti».

Una domanda a Simon, cosa ti porta a scrivere un pezzo?
«Quando scrivo un pezzo voglio esprimere esattamente come mi sento in quel momento. A volte non è bello, ma è parte della mia personalità e della band in generale. A volte c’è speranza, a volte no, voglio solo essere sincero e non contare storie. È una dualità che fa parte di noi come band ma credo un po’ di tutti quanti».

Che rapporto avete con Internet ed in particolare con i social network?
«Internet per noi è un modo per dire grazie ai nostri fan ma allo stesso tempo non vogliamo farci influenzare troppo. Ad esempio cerchiamo di non leggere i vari commenti della gente dopo uno show. perchè magari volevano sentire certi pezzi che non abbiamo fatto. Diciamo che quando siamo in tour, tendiamo a dimenticarci di Internet, passando magari per rocchettari del passato».

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